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Vecchi amici, lunghe notti

Se son d'umore nero allora scrivo” cantava Guccini negli anni 70, tra un concerto in piazza e un bicchiere di rosso.

Se basti davvero così poco, non lo sapremo mai. Che possa esser d'aiuto, dipende dai punti di vista.

Allora cosa mi ha spinto a scriverti stanotte?

Sarà per questa realtà così apatica, per questo momento inaspettato e surreale, sarà, forse, per la solitudine a cui non eravamo pronti, o sarà perchè oggi son d'umore nero e allora scrivo.

 

Ti scrivo Amico mio, ovunque tu sia.

Si, perchè una mattina sei partito senza salutarmi.

Sapevamo entrambi che saresti partito, ne avevamo parlato spesso. Ma una sera tu mi dissi “Il giorno che partirò, voglio che tu ci sia. Voglio abbracciarti e dirti adiós hombre, Buen Camino”.

Quello che i contadini e i commercianti dicono ai pellegrini sul Camino di Santiago.

Per te, spagnolo delle Asturie, non esisteva augurio più importante di quello.

 

Quella mattina, però, sei partito troppo presto. Non mi hai aspettato. Hai fatto male i conti e ancora oggi non so dove tu sia.

 

Ricordo il giorno che ti conobbi, le sei del mattino di una giornata di fine Maggio. Nello spogliatoio dell' ospedale. Era il mio primo giorno al Pronto Soccorso.

Mi ritrovai davanti un uomo dall'aspetto ambiguo, ma professionale. Uno stile da finto giovane, con l'età di mio padre. Mi guarda e non perde tempo

“Tu sei il mio ragazzo, vero? Francesco?”

“Si” rispondo

“Bene, io sono Miguel. Sarò il tuo capo qui al Pronto, dovremo vivere in simbiosi per parecchio tempo e io dovrò farti uscire da qui come un infermiere coi controcazzi. Ti senti pronto per questo?”

L'empatia che abbiamo avuto subito, insieme alla tua voglia d'insegnare e il tuo amore per questo lavoro, mi ha aiutato a creare quello che professionalmente sono oggi. Non passa giorno che non ci pensi e che non ti ringrazi per questo.

 

Durante queste strane notti tutte uguali mi capita spesso di pensarti. Lo faccio con malinconia, quando penso ad altre notti. Quelle che passavamo di turno insieme al Pronto Soccorso.

Notti d'estate umide, calde, infinite, in cui tra un'emergenza e l'altra abbiamo condiviso tutto quello che siamo come persone. Esseri umani, non infermieri.

Un'empatia che è diventata un'amicizia, dopo la nostra conoscenza professionale.

Preziosa, perchè come ogni cosa preziosa è germogliata in un ambiente ostile.

 

Condividemmo ogni cosa. Dalla più banale, alla più profonda sfumatura delle vostre vite.

Senza il peso del giudizio, della vergogna o dei consigli che non vorresti ricevere.

Si era sinceri finchè c'era il vino, si rideva finchè c'era l'erba, il blues no. Quello solo quando faccio l'amore. Al massimo ascoltavamo Virgin Radio. “Hombre” mi chiamavi, letteralmente “Uomo” in spagnolo. E quanti ce ne sono stati.

 

Ricordo ancora quella sera di Settembre, mi feci ubriacare di un distillato della Galizia, poi con tutto il coraggio del mondo mi dissi “Ho un cancro, Fra. È terminale”.

Avevi scelto la via più veloce. Nessun tentennamento, un colpo di pistola, un'esecuzione.

Così veloce, che non sono ancora sicuro che tu lo abbia detto davvero.

Veloce come fu il tuo decorso. In tre mesi ho visto un amico e un padre di famiglia non reggersi più sulle gambe e rassegnarsi al voler del tempo.

Accompagnasti quei tre mesi, con un fare rassegnato e malinconio. Come quello che rieccheggia in tutti i vicoli di Genova, che scende dai monti ed evapore sbattendo contro il mare.

Venni a trovarti ogni mattina, guardavo il sole sorgere davanti al reparto di Oncologia. Bevendo il caffè misto veleno delle macchinette. Faceva da sottofondo una signora sulla sessantina, che si esercitava al piano, dalle 7 alle 9, ogni mattina.

La sua finestra dava sul cortile dell'ospedale. Provava “Nocture” di Chopin. Sinfonia che sembrava stendere il tappeto all'atmosfera natalizia che, ormai, si era presa la scena.

Entravo puntualmente alle 8, per portarti dei vestiti e un sorriso poco credibile. Ti vedevo morire ogni giorno, l'ennesimo uomo di ferro, arrugginito in un letto d'ospedale.

Si, perchè parlammo della morte, ne parlammo a lungo. Tu mi dissi “Io non muoio, io parto. Quindi vorrei che ne parlassimo come la mia Partenza”. Quel pomeriggio in cui promisi di aspettarmi.

Ma era ormai chiaro a tutti, che più passava il tempo e più si avvicinava il tuo treno.

 

Sai hombre, il tempo è strano, a volte vola, a volte va a singhiozzo. In questo momento al mondo sembra essersi fermato. Ci sarebbe bisogno di infermieri come te. Ci sarebbe bisogno di tante cose.

La gente il tempo lo subisce, ma prova ad esorcizzarlo come meglio riesce.

Con metodi che vanno dai più costruttivi ai più ignoranti. Ma in mezzo alla paura, c'è positività.

Con qualcuno che non ha perso l'abitudine, di scrivere sempre a mezzanotte.

Si, perchè le cose sono diverse quando le scrivi di notte. Le stesse cose rilette il mattino dopo ci fanno sentire stupidi.

Notte o giorno che sia, il tempo è ciclico e spietato. Spesso condizionando le partenze.

Quando arrivai in reparto, quella mattina, la Caposala mi accolse con un abbraccio, dicendo che il tuo treno era passato mezzora prima. Questa volta, senza abbracci, ne saluti.

 

È passato un anno e mezzo da quella mattina, da quel treno, da quel viaggio.

Ho alzato tanti bicchieri di vino alla tua e ogni tanto ti suono una canzone con la chitarra.

Ma oggi ho voluto scriverti per farti gli auguri. Oggi sarebbero stati cinquantasei amico mio.

Oggi ti perdono per non avermi aspettato. Anche se rimani un hombre de mierda.

In questo periodo in cui sembra strana la luce del sole, in cui viviamo tutti più di ricordi, che di presente, un periodo in cui la paura è infusa nell'aria che respiriamo, mi piacerebbe vederti fare quello che ami. Salvare le persone, perchè eri nato per farlo. E anche se la tua missione è rimasta a metà, ogni mattina, quando allaccio l'ultimo bottone della divisa, mi guardo le mani, voglio pensare che tu mi abbia lasciato una strada da percorrere, la responsabilità di farlo al posto tuo.

 

Continuerò a pensarti durante queste strane notti tutte uguali. Tu però, fammi sapere in quale stazione sei sceso dal treno.

Per il momento, ti saluto augurandoti, quello che non sei riuscito ad augurare a me,

adiós hombre, Buen Camino..

​

F.R.

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