Salsedine nei ricordi
Non c’eÌ€ musica, non c’eÌ€ plastica, non c’eÌ€ nulla: solo una natura ruggente di fichi d’india e cicale. Profumo di timo e mirto che penetra nella pelle e sublima il sudore appiccicato della calura estiva: nessun arenile sabbioso o stabilimento affollato e cafone, ma ciottoli lucidi lavati dalla spuma del mare di puro cristallo, accanto a piccole spiagge ingombre di screpolate barche da pesca.
C’eÌ€ l’essenziale: qui la bellezza eÌ€ completa, intatta, vera.
Lidia assapora i tramonti e le albe di ogni giorno e i suoi occhi si perdono senza cercar risposte. Quando il corpo reclama, mangia in piatti scompagnati quanto la natura le offre: piccole patelle, cozze sublimi, teneri polpi, alghe succulente. Beve da pesanti bicchieri d’osteria mentre la pelle calda di sole rabbrividisce al contatto della lunga, fluttuante, sensuale, impalpabile camicia di seta, come un tempo sotto le conosciute, esperte e inarrivabili mani di Carlo .
"Ti voglio parlare" le disse un giorno con la solita nonchalance elegante e gigionesca che lo distingueva e che tanto le era piaciuta. Forse solo un lampo di preoccupazione diversa nello sguardo che lei, nell’abitudine dei loro trent’anni di vita comune, non seppe cogliere subito.
D’improvviso tutto il castello che aveva creduto loro crolloÌ€, in uno sfracello di domande e lacrime, allontanando il futuro che le era sembrato scontato e certo.
"Quindi te ne vai?..." riuscì a mormorare, mordendosi le labbra che tradivano il desiderio di urlare tutto il dolore che si aggrovigliava intorno al suo stomaco, che strozzava le sue vene pulsanti e che sembrava schizzarle fuori dalle tempie.
"Con lei?" le scappò in un sussurro afono a occhi bassi.
Talvolta ancor oggi avverte quell’ultimo calore dell’incavo della mano di lui, ormai solo piuÌ€ fraterno e giaÌ€ lontano."Non farti del male in piuÌ€, piccola mia..." le disse allora Carlo, guardandola tenero "...e ricordati del nostro amore: eÌ€ stato importante per me... spero per noi..."
Il nulla. La vertigine profonda dell’abbandono inaspettato e della solitudine a lei inusuale le si spalancarono improvvisamente: lenzuola come sudari di notti aggrovigliate, parole amiche, vuote e vane, una lenta regressione larvale, fisica e mentale.
Poi, molto dopo, in un istante normale, in uno sguardo non più attento di altri a ciò che le viveva intorno, rimase tra le sue ciglia una via di fuga.
Lontana da tutto e da tutti, dove non dare spiegazioni, dove diventare definitivamente pazza o rinsavire a nuova vita. Dove sentirsi viva. Dove provare qualcosa di diverso.
Partire.
Lidia qui non ha nulla con seÌ€: ha lasciato tutto dietro di lei. Qui ha solo l’essenziale e il rumore della risacca sotto il terrazzo abbarbicato nel bianco di una casa di vacanza che l’ha accolta amorevolmente e che culla ogni suo sonno. Un letto monacale vestito di bianco, un lenzuolo stropicciato mezzo a terra come un drappo: le piastrelle dipinte a mano scompagnate e un po’ sgarruppate come il suo cuore, un armadio antico con pochi, lievi vestiti a farle compagnia, arruffati anche loro come i suoi pensieri, una stuoia consunta come i suoi occhi.
"Che rumore fa la felicitaÌ€?" si chiede Lidia abbracciandosi le ginocchia con gli occhi arrossati dalla salsedine. Ci sono momenti che rendono la realtaÌ€ sospesa a mezz’aria: tutto si cristallizza e pare fermo, quasi eternizzando l’istante e trattenendolo dalla sua corsa verso l’oblio.
Così il momento felice non fa rumore, non fa battere il tuo cuore o accelerare il tuo respiro, si avvicina lieve e, cosiÌ€ evanescente, si allontana. Lidia si accorge che gli attimi felici donati alla sua vita sono stati perle rare e che il disappunto, inevitabile, della loro lontananza non deve incrostarli, opacizzandone la lucentezza.
Il frusciÌ€o del pennello sulla tela nel silenzio del proprio boudoir, la ricerca della sillaba sulla carta, o l’inquadratura unica a replica dello splendore e della unicitaÌ€ del momento, gliela riavvicineranno, ne eÌ€ certa: staraÌ€ a lei riconoscerla nuovamente fra le pieghe della vita che verraÌ€.
Ha scritto molto e parlato poco in questi giorni sul mare: ha tirato fuori il suo cuore e l’ha osservato cercando di separarne il buono dal cattivo.
Così la fatica di vivere pian piano non ha trovato più posto in lei, mentre la gioia del sereno le si è fatta timidamente compagna.
Ieri ha lasciato finalmente il suo guscio sicuro: ha nuotato a lungo con maschera e boccaglio, fra onde alte di schiuma; è risalita sulla barca di Nanni che la sorvegliava impenetrabile fra i solchi delle rughe abbronzate, lasciandosi rabbrividire al vento forte di maestrale e, alla sera, ha accettato come un pasto regale quel pescato eccelso del giorno, fragrante di capperi odorosi e finocchietto selvatico.
Poi, ancora non contenta, come una bimba che ha ricevuto nuovi giochi e non vuole allontanarsene piuÌ€, ha camminato a lungo errabonda sugli scogli verso la fine del tramonto che infiammava l’orizzonte, raccogliendo qualche stelo arso piegato alla brezza della sera, noncurante del salmastro che inumidiva la sciarpa intorno ai suoi fianchi.
Improvvisamente si eÌ€ arrestata: intorno l’aria immota del tramonto. Sulla pelle la sensazione di un attimo sospeso, speciale, cristallizzato su di lei: un respiro profondo da amante ormai paga e poi ancora un tuffo dal vecchio molo, nell’oro brunito della sera che andava avanzando.
Giunta a casa si è infine accovacciata a terra sulla vecchia stuoia sabbiosa: ha accarezzato con la punta delle dita il suo corpo ormai guarito, la sua pelle bruna ed elastica pronta forse ancora a inoltrarsi in nuovi viaggi d'amore.
Alfine si eÌ€ scoperta sorridere nel cuore mentre sorseggiava un po’ ebbra l’ennesimo calice del vino profumato che gli isolani le avevano offerto, curiosi di lei e della sua solitudine, mentre i piedi scalzi e abbronzati assorbivano l’ultimo calore del giorno sul suo piccolo poggiolo di fronte al mare.
L’energia purissima di quella terra primordiale l’aveva rigenerata, il mare pulita piuÌ€ di mille docce, la solitudine aveva scavato dentro di lei con forza e creato un nuovo inizio, i profumi del salmastro e della macchia spontanea avevano ammorbidito i sensi .
Ora tocca a lei, imparata la lezione, ricominciare....ora che tutto nuovamente e’sulla carta in un gioco ben più grande. I suoi ricordi sono la sua forza per iniziare di nuovo sgombrato il campo dagli eccessi, dal disamore e dalla superficialità : così come allora ora, la solitudine e l’isolamento sono sorgenti di rinascita a chi è attento osservatore.