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Pollice verde

Caro L.,
spero tu stia bene.

 

Ogni tanto ti scrivo per sapere come stai e se hai bisogno di qualcosa, nonostante tutto non posso chiudere gli occhi davanti a tutto quello che è successo dopo che ci siamo separati.

Tu mi rispondi, ma probabilmente solo perché devi, non di certo perché ti interessa sapere come sto io, ma forse è giusto così.
 

In questo periodo mi hanno cambiato di postazione, ora sono alla scrivania di A. e sulla destra c’è una porta finestra che da direttamente sul giardino. 
Ogni volta che mi manca il respiro mi giro verso tutto questo verde e la tachicardia rallenta come per magia, non a caso il verde è sempre stato il mio colore…il colore del cuore, ma anche di tutta quella rabbia che avevo dentro.

 

Di fianco alla finestra c’è una pianta… una di quelle piante da appartamento a foglia lunga e stretta, di colore bianco e verde.
Sembra si chiami “Nastrino” e già il nome mi ha conquistata, sai quanto possano influire queste piccolezze su di me, un tempo erano proprio queste cose a rendermi speciale ai tuoi occhi, poi hai iniziato a trovarle stupide.

 

I primi giorni non mi ero neanche accorta che ci fosse, quando finalmente ho voltato lo sguardo e l’ho visto era in condizioni critiche.
Le foglie erano marroni, secche, quasi come il mio cuore negli ultimi anni prima del nostro addio.


Le missioni impossibili sono il mio pane, lo sai… quindi, ho iniziato a dargli l’acqua ogni giorno ed ora è notevolmente migliorato, sono addirittura nate delle foglie nuove e, quando me ne sono accorta, mi sono anche emozionata.
 

Ho ripensato a tutti quei momenti in cui mi dicevi che non sapevo prendermi cura di niente e nessuno, figuriamoci di un figlio.
Eppure è successo.
Forse non sono così sbagliata come pensavi, o come mi descriveva la tua famiglia, che sapevano solo dirci “ma quando ci fate un figlio?”.


Io che sono finita in terapia per questo, terrorizzata dal fatto di essere considerata solo come fattrice e non come persona piena di interessi e altro… questo figlio si era trasformato nel peggiore dei miei incubi, pensavo che se già prima di averlo ero tanto sbagliata, chissà che razza di madre sarei stata: un’inetta. 


Il fatto di non averlo mai avuto la reputo da sempre una benedizione, forse penserai che sono la solita egoista, ma non è così.
Ora che ci siamo lasciati lo abbiamo fatto senza grandi drammi, lo sapevamo che era finita da anni, ma se ci fosse stato un figlio?

Sono sicura che quella rabbia che covavamo dentro entrambi sarebbe esplosa e io non avrei retto.

 

La base per mettere al mondo un figlio è l’amore, ma anche la reciproca stima e il voler lasciare spazio all’altro di coltivare i propri interessi e hobby, solo così si salvano i rapporti e si va avanti nella costruzione di una famiglia.
Sarai sempre una parte importante della mia vita, ma ora che non sei più la mia quotidianità il mio cuore è tornato leggero e spero che anche il tuo lo sia.


A.

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