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Parole mai spedite

Riccardo,

non so bene che ora sia. Potrebbero essere le quattro, o forse le cinque di mattina. Me lo suggeriscono i miei capelli odoranti di fumo, le guance arrossate. Sono tutti indizi e prove della tua inconfondibile presenza. Non so ancora se stia scrivendo di te o a te: la prima azione implica la presenza del resto del mondo, in quanto comporta raccontare a voce alta la magia che sta avvolgendo questi mesi che profumano di te. La seconda, invece, coinvolge solo noi due. Naso contro naso. Fronte contro fronte. Anima contro anima. Per ora, mi accontenterò semplicemente di trovare il fiato per ciò che sto per pronunciare. In un giorno di metà febbraio, mi trovai incatenata da centinaia di persone vestite di nero, quel tipo di nero che mette in risalto il bianco dei fazzoletti impregnati di lacrime. La mia scarsa altezza mi impediva la visione totale della scena che si stava svolgendo di fronte a me. Poi voltai il capo. Un ragazzo dagli occhi profondi se ne stava seduto, qualche metro più in là, all'interno della sua bella auto sportiva, nera come il nulla. Lo sportello spalancato. Le braccia tatuate aggrappate al volante. La macchina urlava grazie ad un motore arrabbiato, simile alla voce che il ragazzo, in quel momento, aveva perso. Forse perché il suo amico, ormai volato via, se l'era portata con sé. La mia attenzione era ipnotizzata da lacrime assenti che scorrevano dai suoi occhi intriganti. Se osservare quelle di migliaia di persone equivaleva a conoscere la vera sofferenza, ammirare quel ragazzo assomigliava ad assaporare il puro dolore tutto in un boccone. Un dolore che hai saputo trasformare in dolcezza, Riccardo. In una delicatezza simile al pan di spagna della domenica o alle lenzuola pulite, ancora ruvide al tatto. Forse l'amore è proprio questo. È fermarsi un istante per riposare, abbracciare il letto e sospirare "oggi sono proprio stanco", sapendo che il passo successivo sarà proprio quello di un sonno tranquillo. Tu, Riccardo, mi fai sentire così. Mi fai sentire come se l'amore fosse fare pace con me stessa, con le mie ansie e le mie paranoie, sussurrandomi all'orecchio un candido "vai tranquilla". La tranquillità non fa per me, lo sai bene. Il mio incessante andare a caccia di qualcosa per cui valga la pena lottare mi ha condotta da te, dandomi una spinta tale da superare l'estrema accelerazione della tua macchina, anche solo per intravedere il tuo viso di sfuggita. Quei dannati occhi, Riccardo. Te li strapperei solo per tenerli sopra il comodino sperando che, a fine giornata, loro saranno lì per confortarmi ed inghiottirmi nel loro verde. Ecco, Riccardo. L'amore è verde, non rosso. Il rosso implica una punta di dolore, simile a quella del peperoncino sulla pasta. Il verde no. Il verde accarezza la pelle, il viso, l'anima. Proprio come i pollini primaverili che mi cadevano tra i capelli stamattina. Il verde è lucente. Mi suggerisce che ci sarà sempre la speranza a tamburellarmi il portone. Sta solo a me decidere se aprire o meno. Dopo tutto questo tsunami di parole, ti dico questo. Scriverti una lettera è sempre stata un'idea affascinante. Nonostante la mia corazza da ragazza "schietta", ci sono alcune cose che solo grazie al binomio carta-inchiostro sono esprimibili. Forse perché, a volte, i sentimenti hanno bisogno di essere tracciati attraverso le parole per non essere dimenticati. E io non ho abbastanza righe per disegnarli a caratteri. Magari è proprio questa mancanza di spazio a darmi la certezza di ciò che sto per dirti: Riccardo, se l'amore è pari a non avere carta a sufficienza per scriverti, allora sì, io sono innamorata di te.

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