Nelson
Stefano Lasagna è un cabarettista ligure che cavalca i palchi da svariati anni, premiato al "Festival del cabaret" come miglior emergente nel 2012 (ed anche premio della critica!) nella sua carriera ha collaborato con Area Zelig e Zelig Lab on the road
Ciao Nelson,
in questi giorni mi sono trovato parecchie volte a pensare a te, agli anni che hai trascorso a Robben Island, immersa in un mare turchese, a poche miglia dalla costa della tua Africa, così vicina e così lontana allo stesso tempo, una tortura che si aggiunge alla tortura.
In questi giorni, ti dicevo, ho pensato a come ci si deve sentire, perché in questi giorni siamo tutti reclusi; non per un ergastolo, non per 27 anni, ma la non-definizione di una scadenza, di un termine, di una luce in fondo al tunnel rende tutto insopportabile.
Sai, Nelson, al mattino apro gli occhi, ed è un’altra mattina luminosa e soleggiata. L’aria che entra dalla finestra del bagno non è più così fresca da farmi rabbrividire tutto, ma neanche così calda, ancora, da farmi piacere.
Il mare, qui sotto, sembra uno specchio messo apposta lì da un architetto per riflettere le nuvole e dare l’idea di trovarsi in mezzo a due cieli gemelli, azzurri e paralleli, mentre i gabbiani volano proprio nel mezzo, liberi e finalmente indisturbati.
Le strade sono vuote, le finestre delle case sono occhi ciechi, scuri e profondissimi, e in quella profondità non entra luce né calore.
Le giornate si susseguono tutte uguali, e non capisci più quando è domenica; tutto si svolge in una routine infinita e indefinita di cui sei di volta in volta spettatore e protagonista, prigioniero e guardia, come quando metti due specchi uno di fronte all’altro e ti perdi nei riflessi infiniti.
Fortunato chi lavora (qui lo chiamano “smart work” sai, Nelson?) perché ha contezza del tempo che passa e soprattutto si tiene occupato. Negli altri casi, la mente vacilla e lentamente ma inesorabilmente succede una cosa strana: questa prigionia del tedio, che i primi giorni era insopportabile, sta lentamente diventando la normalità, e noi – come contagiati non dal Covid19 ma dalla Sindrome di Stoccolma - ci stiamo affezionando a lei. Viene sempre meno la voglia di uscire, di scappare, di rivedere gli amici, di abbracciarli, di baciarsi, anche di scambiarsi il bicchiere.
Ma anche tu, alla fine, un giorno hai restituito Robben Island alle otarie e ai pinguini, e sei tornato nella tua Africa, e ci scommetto che non ti era mai sembrata così bella. Hai messo la tua camicia più colorata e sei andato in giro a salutare la gente, a stringere mani, a regalare sorrisi e a scambiare il bicchiere.
Sto guardando il mare, adesso, Nelson; il mare così vicino e così lontano. A dirla tutta, non so esattamente che giorno sia, ma sto sorridendo come non mi capitava da tempo. Sorrido perché so che alla fine anch’io indosserò la mia camicia più bella e il mio sorriso più sincero (magari ancora nascosto per un po’ da una mascherina), e andrò in giro a salutare la gente, a stringere mani, a scambiare il mio bicchiere.
E quel giorno, Nelson, per la compagnia che mi hai regalato ogni volta che ti ho pensato, il primo brindisi sarà per te.
A presto.