La primavera dei miei vent'anni
Caro Paolo,
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Come stai? Sono giorni che non ti sento. L’unica cosa che vorrei è venire da te, ma ciò è impossibile.
Mi sento persa dentro alle mura della mia amata casa, luogo che per tanto tempo è stato un nido sicuro ed ora, invece, è diventato la mia prigione. Il mio sguardo è attratto dalla finestra e dal mondo che c’è fuori, che brilla alla luce del sole che fa capolino da lievi nubi color panna. Eppure, quel mondo così brillante mi è precluso, le mura domestiche mi tengono confinata da quello che è l’esterno, la vita reale.
Mi sembra di vivere in un limbo, lo scorrere del tempo è fuori dal mio controllo. In alcuni momenti sembra non passare mai, altre volte sembra solo ieri che mi sei venuto a prendere all’università. Abbiamo passato un bellissimo pomeriggio insieme, uno dei primi pomeriggi di sole dopo tanti giorni di pioggia. Era tutto così luminoso, ma forse la cosa che brillava di più erano i miei occhi mentre ti guardavo, felice che tu fossi venuto da me. Ingenuamente credevo che fosse l’inizio di quella che sarebbe potuta essere una storia d’amore. Credevo che il nostro affetto si sarebbe fatto sempre più forte in primavera, come i gerani che beffardi e inconsapevoli crescono nel vaso del mio balcone. Ma non è andata così. Nemmeno due giorni dopo il nostro incontro, come un fulmine a ciel sereno, tutto quello che era il mio mondo è stato bloccato.
Mi sembra che la mia vita si sia cristallizzata. È davvero vita rimanere immobili in questa staticità? Vedo scivolare via la primavera dei miei vent’anni e sento il cuore ricolmo di malinconia al pensiero di non averla vissuta. Ed a questo mio pensiero mi sento terribilmente egoista, perché c’è chi fuori soffre davvero ed io dovrei essere grata di quello che ho. Ma presumo di essere ancora una bambina, vittima dell’irrazionalità del suo cuore.
Vorrei rivederti, più di ogni altra cosa, vorrei ricominciare dall’ultimo pomeriggio in cui ci siamo lasciati, con la promessa di vederci il sabato successivo.
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Mi manchi,
Fefé