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La porta

Cara Emi,


ogni volta che do un giro di chiave e fermo la porta, la sera, ho sempre paura di lasciare fuori qualche cosa. Accendo la luce sempre più tardi, ora che le giornate si allungano.

Ho molto tempo per perdermi a pensare ma la stranezza è che quella sensazione non mi abbandona mai. Mi lascia contratta una parte di coscienza, sempre. Sai, non è escluso che si tratti del tuo modo di agire, dall’ovunque in cui penso che tu ti trovi adesso.


Ieri ho cercato Magda, erano anni che non ci parlavamo. Non sapevo fino all’ultimo se quello che stavo facendo sarebbe stato giusto o no, dato il modo in cui l’ho trattata dopo che tu…


Comunque ha risposto. Con il solito far finta di non riconoscere la voce, come da ragazzina, e io con il mio solito falso gentilismo, una forma di timidezza che mi disgusta ancora. Non abbiamo parlato di te. Ovvero, non come l'avremmo fatto tempo fa.

 

Forse è meglio confessare che entrambi avevamo voglia di parlare di te ma non ne avevamo il coraggio, e così si sentiva la tua presenza, nei modi di parlare del temporale, del contratto che a lei stava per scadere, delle votazioni, della pizza che ha mangiato un mese fa con Jonathan e che non sa cosa darebbe per tornare indietro. Indietro a quando, le ho chiesto.

​

Ed ecco che ho sbagliato.


Mi ha salutato, dicendo che era tardi e che aveva delle cose da sbrigare. Avrei voluto ci fossi tu, con quella risata da cavallo a dare una pacca ad entrambi sulle scale di Villa Neri, e cambiare discorso gridando a un ladro inesistente per far girare la gente. Ma diciannove anni li hai ormai per sempre solo tu.


Non so se subito dopo il diploma, quell’estate di noi tre, avessi avuto un desiderio da esprimere, da giocare… La verità è che avrei voluto chiamare te, ieri.


Ho appena chiuso la porta e ho ancora paura di aver sbagliato tutto. Di aver dimenticato qualcosa. Forse sarebbe stato tutto diverso. Io Magda l’amavo davvero, e non era uno scherzo. Ma dopo di te si è rotto un meccanismo e io non riesco più a recuperarmi i pezzi.

​

Spero che questo periodo finisca, ho voglia di uscire di nuovo. Tornare sulle scale di Villa Neri a fumare il marocco, sentire che sapore ha dopo trent’anni.


Mi sento un imbecille.
Salutami tutti.


Forse lascio la porta aperta stanotte.
Ciao, Sergio

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