Dedicato a me, a noi
Una lettera che da giorni si stava “scrivendo da sola” dentro i miei pensieri per la situazione che coinvolge tutti, e per la mia in particolare. Un contesto nuovo, sconosciuto e che può lasciarci soli, appesi ad attese lunghissime. E che può farci sentire impotenti. Ciò deriva, con grossa probabilità, anche dai costanti stimoli che arrivano dai social e dalla rete, tecnologie per molti oggi indispensabili, e con le quali ho quotidianamente a che fare per lavoro.
Righe dedicate a Luis Sepulveda, un uomo che con le sue favole di speranza ha accarezzato il mio cuore.
“Io difendo il ritmo umano: il tempo preciso, nè più nè meno, che serve per fare le cose per bene. Per pensare per riflettere, per non dimenticare chi siamo”.
Forse è un discorso più profondo. Quello del coraggio. Il darsi il permesso di vivere la vita per come si riesce. Da lumaca o a 100 all’ora. Splendenti e luminosi o schivi notturni sognatori. Pieni di vuoti, mancanze, silenzi. Attraversare paure, insoddisfazioni, tristezze per riscoprirsi pieni di nuovi significati. Anche la più grande gioia può essere velata da una lieve patina di malinconia. È la verità che portiamo con noi. Lasciare andare i cocci della maschera che indossiamo come armatura contro i mali del mondo. Più attenti al fuori che al dentro, forza centrifuga che ci allontana dalla nostra vera essenza. Specchiarsi in noi stessi e vederci fragili, precari ma per questo bellissimi. Unici nei difetti, nei tic, in sorrisi sghembi, unghie rotte e mani consumate. Una lettera del genere credo dovremmo scriverla per primi a noi stessi, a come ci percepiamo “da fuori”. Noi, non gli altri. Perdonandoci di essere, talvolta, attori non protagonisti delle nostre vite, infilati in copioni “uniformati e sbiaditi” imposti dalla società che ci circonda. “Pupazzi meccanici calati nei panni di un altro”, portando con sè sofferenze e frustrazioni nell’inseguire chissà quale chimera, dettata da modelli disumani. Ricercare il baricentro della nostra natura. Guardarci dentro con attenzione, affrontare la voragine e il buco nero in cui per amor di verità siamo tenuti a sprofondare. Solo navigando negli abissi più profondi del nostro io possiamo fare i conti con l’anima nostra. Mettere le mani nell’oscurità, nutrirci delle tristezze più grandi per poter riemergere con una nuova energia. Il coraggio dicevo, è una cosa troppo spesso data per scontata. Guardarsi in faccia senza filtri e camouflage, scegliere di cambiare per stare meglio. Con noi stessi e con gli altri.
La quarantena ci sta facendo un grande regalo, ci sta donando il tempo.
Canta Fossati: “C'è un giorno che ci siamo perduti/Come smarrire un anello in un prato/ E c'era tutto un programma futuro/Che non abbiamo avverato/È tempo che sfugge, niente paura/Che prima o poi ci riprende/ Perché c'è tempo”
Abbiamo un tempo nuovo per il pensiero e per l’ascolto, il tempo dell’attenzione che ci fa cogliere quei piccoli attimi che poi diventano eterni. L’osservazione lenta, anamorfica, lontana ma vicina, per assaporare tutta la gratitudine che ne consegue.
La lentezza come opportunità: fermarsi sulle e nelle cose in maniera consapevole. Percependosi nella nostra interezza ci diamo la possibilità di fare scelte. Le nostre, reali, legittime e personali. Cercarci per comprendere ciò che realmente ci è utile e allontanare quello che, invece, ci ostacola nel cogliere la vera essenza delle cose. Il coraggio di mostrarsi per quello che siamo. Lo specchio non nemico ma alleato. Provando a pensare non solo a cosa vorremmo fare poi, ma soprattutto a che tipo di persona vorremmo essere. E se già non lo fossimo, imparare ad ascoltare i nostri bisogni, darsi accettazione e protezione, diventare i primi amanti di noi stessi. Può essere utile soffermarsi ad osservare la natura. Essa guida e ci insegna. Sentire, ascoltare attentamente e poi agire. La Natura è maestra, parla una lingua diversa ma molto semplice, basta aprire bene occhi, cuore e anima, senza averne paura. Nè rifuggirla. I fiori nascono anche tra il cemento. Fragili ma al contempo fortissimi. Determinati a fare il proprio corso naturale. Cogliamo questa preziosa occasione, non sprechiamola. Potremmo rimpiangerla. Alla peggio, forse, alla fine di tutto questo, se mai vera fine ci sarà, ci ritroveremo con qualche capello bianco e una manciata di rimorsi in più, ma con la consapevolezza almeno di aver tentato. Oggi ho visto un video di alcuni medici che ballavano per festeggiare il calo dei contagi. Ammetto di essermi commossa. Ho riflettuto su ció che queste immagini “di gioia nella tragedia” mi hanno smosso e ne ho compreso il valore. Quello di non dimenticarmi un concetto tanto scontato quanto fondamentale: oltre il tempo del dolore e della perdita, ci aspetta la vita.