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Lettera durante una pandemia

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Amy Fusselman è l'autrice di quattro libri, tra cui The Pharmacist's Mate (Edizioni Black Coffee). 

I suoi saggi sono apparsi, tra gli altri, su The Washington Post eThe Atlantic.

Vive a New York City con il suo compagno, Frank, e i loro tre figli.

Papà, ti stai perdendo la pandemia globale. Io resto a casa, nell’appartamento con Frank e i ragazzi che non hai mai conosciuto. Ho un lavoro. E’ il primo lavoro che amo, da molto tempo. Insegno scrittura creativa al computer. Vado sul computer e vedo i miei studenti sullo schermo, leggiamo racconti e ne discutiamo. Non so se potrò continuare questo lavoro però. Potrebbero non assumermi; potrebbero non assumere nessuno. Comunque, ora sono qui. Il virus non mi ha trovata per ora. Indosso la mascherina e i guanti quando esco e cerco di non toccare nulla, ma qualcosa bisogna pur toccare. Ero fuori col cane, avevo la mascherina e i guanti e un uccello che non avevo neppure visto mi ha sporcato la giacca di cacca. A volte penso che ti sei perso le parti importanti della mia vita. Altre volte penso che non hai perso niente. Forse sapevi cosa sarebbe accaduto. Ricordo che mi portavi le caramelle quando andavi al negozio a comprare il giornale. Non mi hai mai portato con te, ma mi hai sempre portato le caramelle. E’ stata la mia iniziazione alla quarantena. Mi piacevano le caramelle ma avrei fatto qualunque cosa solo per stare seduta con te a parlare di niente. I ragazzi mi parlano tutto il giorno e a volte non capisco cosa dicono. Sono distratta, tra il portare la spesa dentro casa e allo stesso tempo cercare di tenere la pandemia globale fuori di casa. Pulisco gli oggetti, mi lavo le mani, cerco di “esserci” per i miei ragazzi e i miei studenti, quando si sentono sopraffatti e/o sono ansiosi. I racconti sono importanti, dico ai miei studenti nelle caselle separate della schermata. Questa settimana ho cercato di mostrare loro che non ci sono regole quando si tratta di racconti. Ho cercato di spiegare che un racconto è un luogo in cui possiamo entrare insieme, dove possiamo essere liberi e sentirci toccati. Ho detto così, piuttosto che suggerire l’idea cha un racconto sia qualcosa che può entrare in noi, come un virus. Abbiamo letto un racconto lungo due righe. Vi è sembrato completo, ho chiesto ai miei studenti. Vi è sembrata una storia intera. Uno ha detto sì: quelle due frasi erano un’espressione completa. Non ha detto se la storia lo avesse toccato, però. Non era un racconto molto emozionante. Parlava di vivere da soli.

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