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Alla mia Rabbia, spero tu sia serena

Cara rabbia, cara Lissa,

 

che, da fuori, mi divori dentro. Che scavi carsiche faglie nel verde terreno che io cerco con pazienza di coltivare. 

Finalmente ci incontriamo. E credo che, dopo anni di silente convivenza, non ti dispiacerà continuare a tacere, perché ora ho bisogno di parlare io. 

 

Sai, ho cercato per molto tempo di dare un nome a quella cosa che lentamente consumava la mia vita. Alla ragione di quel pianto che non trovava mai sfogo, di quel senso di continua frustrazione, di quella sensazione di impotenza, claustrofobia, dolore. Mi ci è voluta una quarantena per realizzare che questa condizione porta il tuo nome e il tuo volto, Rabbia. Pensare che, fino a ieri, ero convinta che fosse tutta colpa di una tua mesta conoscente: la paura. Poi, però, ho provato a ripercorrere il cammino che io, te e Paura abbiamo fatto insieme e ho capito che in questa prima, lunga tratta, Paura mi guardava da vicino, ma sei stata tu la mia vera compagna, sempre acciambellata fuori dalla mia porta.

 

Un attimo, non ti scaldare ora. Come sempre ti agiti prima ancora che finisca di parlare. Apri bene le orecchie e ascolta: non voglio affatto chiederti di andartene. Ma per poter continuare a vivere insieme, ho bisogno che qualcosa, tra di noi, cambi. Perché, ora come ora, la nostra relazione è una gara a chi riuscirà a far cedere per prima l'altra. 

 

Non sto dicendo che la responsabilità sia tutta tua, tu mi conosci, sai che quando c'è da prendersi una colpa sono sempre in prima linea, pronta al martirio, ma non mi venire nemmeno a dire che caschi dal pero. Ti sarai pur accorta anche tu che qualcosa tra di noi non va. 

 

Io credo che la rottura sia avvenuta parecchi anni fa, quando cioè, siamo state più o meno in grado di capire e di ricordare. 

 

Ricordare che cosa, mi chiedi? 

La rabbia degli altri, è ovvio. 

 

Te la ricordi, tu, quella rabbia lì? Quella che scuoteva i muri e ci spingeva a nasconderci negli angoli, come scarafaggi? Te lo ricordi, come veniva giustificata? 

 

Siamo cresciute sentendoci dire che quella rabbia era lecita, mentre tu, la mia, no. 

E, in modo diverso, sia io che te ci siamo lasciate convincere da questa idea, l'idea che il valore degli altri fosse dovuto al peso che davano alla propria rabbia. E abbiamo mal interpretato il messaggio: soffocandoci a vicenda siamo rimaste piccole e ci siamo convinte di valere zero.

 

Ed è lì, mia cara compagna, che si è creata la frattura tra di noi. Quando tu, che volevi liberarti dal senso di inferiorità che ci gravava addosso, hai iniziato a invidiare le rabbie grosse, mentre io, che volevo solo rimanere intera, le rabbie grosse ho iniziato a tenerle a distanza. 

Per allontanarle ho costruito muri con gli unici mattoncini che avevo: distacco. Pazienza. Silenzio. E ha funzionato, in parte. Non ha protetto la bambina che ero, ma credevo che avesse almeno limitato alcuni traumi alla donna che sono. Finché non ho aperto gli occhi e visto. 

 

Mentre alzavo muri per proteggermi dalla rabbia degli altri, non mi sono accorta di aver chiuso fuori anche te. Mi sono rinchiusa in una stanza di emergenza da cui ti sento ruggire, ma non ti posso abbracciare. E tu, da fuori, mi guardi affrontare la vita a un passo da te e lo so che mi giudichi fredda, indifferente, debole. Mi fai disperate moine per far sì che ti apra la porta e ti lasci invadere i miei spazi. Bussi forte sui miei muri, vuoi farmi vedere che tu, almeno tu, debole non lo sei più. Hai osservato per anni, nell'ombra, le rabbie degli altri e hai imparato. Senza che ti dessi il permesso, ti sei fatta forte. Il mio soffocarti, senza darti sfogo, il tenerti a distanza quando avevi voglia di dire la tua, ti hanno incattivita. E so che dentro di te pensi che le mie briglie, quelle che ci impediscono di parlare quando abbiamo ragione, di gridare quando ne abbiamo bisogno e di mordere quando veniamo morse, siano diventate delle catene troppo strette. Mi spaventi, quando batti sui muri che mi proteggono. Provochi in me scoppi violenti, pianti furibondi, grida fuori controllo. 

 

Mentre io sono rimasta piccola, tu ti sei fatta grossa, immensa. E ho paura che al prossimo incontro ravvicinato, non saprò più controllarti. Che sarai tu a controllare me.

 

Ti è bastato avvicinarti allo spioncino per farmi tirare pugni alle pareti della mia camera di emergenza. 

Io, così indifferente, fredda, debole, pensavo di poterli abbattere a mani nude. 

Lo sai, che quando mi convinci a socchiudere la porta, mi viene voglia di ferire, mordere, picchiare? 

Io che aborro la violenza in tutte le sue forme. 

 

Lo so che ti stai facendo una bella risata, ma la verità è questa: questo è l'effetto che mi fai. 

Mi hai fatto credere di essere pazza, folle, fuori controllo. Ci ho messo troppo a capire che la vera follia è stata pensare di poter vivere tenendoti a distanza.

 

Ma sai qual è la cosa che mi preoccupa di più? Una grossa parte di me desidera che i miei muri del cazzo crollino e che tu mi invada me e la mia stanza come il fottuto fiume in piena che negli anni sei diventata. 

 

Però, Ragione mi dice che così non va bene, non si può fare e che dobbiamo ritrovare prima la giusta dimensione. Che tu devi smetterla di fare la gradassa, di invidiare le altre rabbie. 

Quindi sii più tranquilla. Meno violenta. Addolcisciti. 

Io, nel frattempo, ti prometto che inizierò a rimuovere qualche mattone dai muri della mia camera. Ti lascerò entrare a poco poco, da quei buchi, diventerò più forte. Inizierò a credere di valere almeno uno. Un intero. La probabilità certa.

 

Insieme, forse, daremo un senso a questo assurdo duo, che grida tappandosi la bocca e piange chiudendo gli occhi. E forse capiremo una volta per tutte che non è dalle grosse rabbie o da chi le chiude fuori, che dobbiamo prendere spunto, ma se mai da chi, con la sua rabbia, ha imparato a farsi due risate, magari proprio alla faccia di chi riesce a vedere il proprio valore solo cercando di azzerare quello degli altri. 

 

Tu pensaci, quando sei pronta, ti aspetto alla parete. Però ti prego, bussa con delicatezza, questa volta. Io ti porgerò la mano.

La tua amica, di valore Uno.

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