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A metà del ponte

Ti ricordi le promesse che ci facevamo? No, non te le ricordi. Perché non ce ne siamo mai fatte. Però nella mia mente ho provato ad immaginarle. Anzi le ho sognate, da sveglio.

Io ti poggiavo una mano sulla guancia, a mo’ di carezza sulla guancia destra. Tu arrossivi, spostando i capelli dietro l'orecchio sinistro. Poi mi dicevi che in realtà era da tanto che aspettavi quel momento, solo che non trovavi il coraggio di dirmelo. Ed io pensavo «che sciocco che sono stato», potevo accorgermene anche prima. Però pensavo anche a tutte le volte in cui avresti potuto farmene accorgere, ma non l'hai fatto. Ma quest’ultimo pensiero non apparteneva al sogno, bensì alla realtà.

Il sogno però non mi spiegava come avessimo fatto a superare la paura. La paura di piacerci, di scoprire il sentimento penetrante che vibra nella nostra anima e la scuote leggermente, di attraversare un ponte di legno pericolante come si vede nei film di avventura pur di raggiungere insieme l'altra sponda del fiume in piena.

Aspetta, mi ricordo ancora qualcosa del sogno. O forse era un altro sogno, uno vero.

Io stavo attraversando il ponte, da solo, implorandoti di seguirmi. Ma tu ferma, lì sulla solita sponda, con la tua maglietta verde militare, quasi a volerti mimetizzare con la foresta retrostante. Mi dicevi “Ho paura, perché non resti qui? Cosa ci manca su questa sponda?”. Sei nella sponda chiamata limbo, avrei voluto urlarti.

Sono qui, fermo a metà del ponte. Non ho voglia di tornare indietro, non ho il coraggio per andare avanti. Continuo a guardare giù.    

 F.

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